1 giu 2015

RACCONTO: LETTURA AD UN AMORE MAI NATO

– Amore mio – mi rivolgo a te con questa abusata parola, stravolta, svilita, svuotata di senso, ipocritamente pronunciata per scopi anche opposti al sentimento cui si ispira – ti prego di leggere con pazienza queste righe scritte per salutarti con la penosa sensazione che sarà un addio.
Ti inseguo da tanti anni, potrei dire da una vita, ma non ti sei mai voltato a guardarmi, nel tuo svagato, leggero fluire, trascinato da correnti nascoste verso mete lontane, lungo rotte misteriose e imprevedibili che non ho mai saputo raggiungere o incrociare. Raramente sono stato bersaglio delle tue frecce, ma ogni volta mi sono sentito perduto. Non possiedo l’esibita sicurezza di chi ritiene il proprio sentimento puro e assoluto, conosco solo lo smarrimento, il senso di inadeguatezza, il disagio di chi non sa offrire il proprio cuore. 
Da tempo osservo le tue mosse e le tua mutevole, bizzarra natura, ma di nascosto, con l'ansia di uno scolaro che sa di essere impreparato; col passo furtivo di un ladro che insegue il suo opulento obiettivo sperando in un suo momento di distrazione per carpirne qualche briciolo di ricchezza. Ma sei troppo vigile e attento e severo con chi non ha fiducia in te. Nulla mi hai concesso: sono cresciuto nell’indigenza e nell’angoscia, perché tu sei la mia malattia, ma anche la mia medicina, un farmaco salvavita, necessario, cruciale, indispensabile, ma riservato a pochi eletti, indisponibile, inafferrabile, latitante proprio nel momento del maggior bisogno. E non c'è dubbio che io sia un sofferente cronico, un malato incurabile allo stadio terminale. Non ho mai osato mettermi sulla tua strada, a domandare, a pretendere, a elemosinare, come un questuante; il mio maledetto orgoglio me lo impedisce: la condanna dell’uomo che non deve chiedere mai e che, appunto, nulla ottiene e nulla stringe. Un perverso automatismo mi obbliga a fuggire i tuoi sguardi, a soffocare le mie emozioni e a vergognarmene, a nascondere i miei desideri mostrando indifferenza. Pensi che io abbia paura di affrontarti a viso aperto che abbia paura dei miei sentimenti? No. Piuttosto, nutro un ancestrale timore, una diffidenza inestinguibile verso colei in cui tu ti incarni, la donna, la femmina, l’essere che ha il cruciale privilegio della scelta e può arbitrariamente decidere della tua felicità o della tua disperazione, salvarti o dannarti con un “Si” o un “No”. Come posso accettare che il mio destino sia nelle mani di un essere così estraneo alla mia anima, così miope, spietato, capriccioso e ingiusto?... Ma così è stato per me, e allora crepi Sansone con tutti i filistei! Una natura matrigna o un dio sadico e crudele, congiurano affinché io debba sempre essere in guerra con me stesso e il mio cuore un eterno campo di battaglia, luogo di sconfitte, dolore, morte e devastazione. Ineffabile crudeltà della vita.
Capisco che questa mia confessione non sia la migliore credenziale per ottenere la tua benevolenza, ma non sto scrivendo una lettera di benemerenze, né una richiesta di grazia. Non posso evitare di rendermi sgradevole e, a voler essere sincero fino in fondo, dei miei disastri un po’ di colpa l'hai anche tu. Come ci si può abbandonare ciecamente ad un sentimento così totalizzante, accentratore, possessivo e anche egoista nella sua pretesa che lei, la persona amata, debba corrispondere con pari entusiasmo, passione, impegno, perdita totale di sé al tuo perfetto sentimento nei suoi riguardi? L’amore è per sua natura tirannico e assolutista: per questo è così raro. Ed è anche altamente deperibile; una condizione emotiva che si corrompe facilmente, un nutrimento dello spirito che è necessario consumare fresco, che non è possibile conservare, intatto nel gusto e nel genuino sapore, oltre la data di scadenza che spesso è molto diversa fra i due soggetti coinvolti. Scusa la pedanteria, ma ormai, cosa ho da perdere?
Il tempo ha consumato inutilmente ogni mia illusione, anche se la bellezza non ha smesso di straziarmi, ostile come è sempre stata e nemica, ora più che mai. Guardo le mie coetanee, quelle che avevano vent’anni quando anch’io avevo vent'anni: ancora, un volto, un sorriso, uno sguardo, il molle sussulto di un seno, la curva armoniosa dei fianchi, le gambe, l’ipnotico dondolio di natiche e cosce, mi feriscono con scintille di desiderio, ma non è più un corpo nella sua interezza ad accendermi di passione: le polveri sono bagnate…Ah se fosse possibile innamorarsi di una donna formata con parti da te scelte, secondo il tuo gusto, una donna componibile come certi mobili moderni, una donna Ikea!… Ma sono convinto che nessuna di quelle parti femminili ricambierebbe il mio amore.
Non temere, non voglio sconvolgere le tue divertite trame: non ho frecce, non ho amuleti, non ho filtri magici: sono un can che abbaia ma non morde, un erotomane pudico, un casto libertino. Basta. Non sopporto più che tu ti faccia beffe dei miei sentimenti. Quando mi ferivi con le tue saette, la mia sofferenza raddoppiava perché colei cui mi votava l'amore non era stata del pari colpita. Non tollero i tuoi giochi crudeli; rassegno le dimissioni da questo irraggiungibile (magico) mondo di affetti e passioni che mi hai fatto solo intravvedere, per tormentarmi, dalla perenne anticamera della mia vita. Ho una dignità anch'io, nonostante tutto, per cui ti dico addio; cedo ad altri il posto così indegnamente occupato in questa umana commedia di cui sono riuscito ad essere solo irrequieto spettatore. Sigillerò la mia anima in un ruvido guscio nel crudo inverno che mi spetta.
Addio.
FEROCE.SALADINO

 

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